COLOMBI E SPARVIERI

COLOMBI E SPARVIERI

Recensione di Maria Antonietta Mula

E’ il romanzo di Grazia Deledda a me più caro, forse perché è ambientato nel paese di Oronou, alias Orune, ma soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi, le bellissime descrizioni dei luoghi, dei paesaggi e delle tradizioni antiche, per l’onnipresenza del vento, e per l’efficacia e la forza dei dialoghi. La storia racchiude e si chiude in una intensa testimonianza di umanità.

Il romanzo si apre con una suggestiva descrizione del paese e narra la storia di un amore impossibile tra due giovani, Jorgi e Columba. Lei è una ragazza semplice e dignitosa, profondamente innamorata e appartenente a una famiglia benestante. Lui è un povero studente, culturalmente più evoluto di lei e degli altri paesani, sensibile e ironico, che non ha nessuno al mondo se non una perfida matrigna.

Le due famiglie, da generazioni, sono state divise dal rancore e dall’odio. Molti anni prima, per intervento delle autorità, era stata sancita una pace e concessa la libertà provvisoria e l’indulgenza a chi l’avesse accettata. Innassiu Arras, un latitante parente di Jorgi, aveva rifiutato qualsiasi accordo con la famiglia rivale, mentre Remundu Corbu, nonno di Columba, scaltro e carismatico, l’aveva accettata.

Il nonno e la sorella Banna non vedono bene il legame tra i due innamorati, e questa avversione aumenta fino a diventare insanabile quando viene commesso un furto nella loro casa. In paese si sparge la voce che il colpevole sia Jorgi, e lo sparviero Remundu Corbu, con il suo comportamento, alimenta i sospetti.

Columba, presa tra due fuochi, è molto confusa. Jorgi si dichiara innocente e incapace di comprendere il conflitto interiore della ragazza. Deluso, offeso, rifiuta di difendersi, rompe il fidanzamento e se ne va. In attesa della verità, cade in un grave stato di prostrazione nervosa e perde la capacità di alzarsi dal letto. Decide di tornare al paese e di isolarsi nella sua povera casa, aspettando la morte. Vive in una condizione di forte indigenza e rifiuta con caparbietà ogni aiuto, evitando ogni contatto, tranne quelli con Pretu, un simpatico orunesseddu che si prende cura di lui.

Columba, offesa per l’abbandono e la mancanza di comprensione e pressata dai famigliari, si fidanza con un ricco possidente di un paese vicino, Tibi.

Jorgi deperisce, vaneggia spesso, ma finisce per accettare le visite del prete e soprattutto di Mariana, la romantica e frivola sorella del Commissario venuto dal continente. Affascinato dalla modernità di Mariana, dalla sua cultura, dalle tante storie che gli racconta, si innamora di lei in modo infantile e platonico.

Viene finalmente scoperto l’autore del furto. L’anziano patriarca, che per quasi tutto il libro appare come uno sparviero, grazie alla sua saggezza e onestà interiore, prende atto di quali siano i suoi doveri… e in una scena molto bella ammette: “Si vive di errori… l’importante è riconoscere di aver sbagliato.”

Dopo tanta negatività, la storia propende verso un lieto fine.


Lettera inviata al Blog LETTERA A GRAZIA, del giornalista Luciano Piras, in occasione del 150 anni di nascita della Deledda.

Cara Grazia,

questa lettera è per te e ti porta le ultime nuove da Oronou.

Oronou è sempre lì, sul cucuzzolo dell’alta collina faccia al vento. Sempre lì la splendida vista che si gode dalla piazza, sempre lì la scalinata in granito che scende dabbasso e la fontana chiusa come fosse un tempietto, sempre lì la torre di pietra e l’aria fina… quella non manca mai.

E degli abitanti di Oronou cos’è stato? mi chiederai. Cosa è stato di quegli uomini e di quelle donne di altri tempi che sembrava parlassero latino?

Cara Grazia, se dovessi raccontarti le vicissitudini e i cambiamenti che il paese ha attraversato dagli anni in cui tu l’hai conosciuto a oggi, metterei a dura prova la tua pazienza. Per la stima che nutro verso di te, voglio risparmiarti il tedio e, confidando sulle mie capacità di sintesi, preferisco riportare in poche righe concise quello che è stato e quello che è.

Inizierò dagli anni che mi hanno vista bambina, gli anni Sessanta. Prendendo a prestito le parole del tuo romanzo più bello, definirei quegli anni: gli anni dei colombi.

Oronou è nido popoloso: ricco di bimbi e di giovani che lì crescono, si formano e prendono via via coscienza di ciò che di questo nido deve essere salvato e ciò che va superato. C’è fermento e un agognato desiderio di riscatto sociale, che per essere attuato deve passare attraverso il riscatto culturale.

 “La cultura salverà Oronou” è il messaggio che si legge dentro gli occhi profondi e bui come la notte delle donne, quelle che tu hai definito: belle, superbe, strane, argute, dotate di selvaggia intelligenza.

Il riscatto sociale si concretizza nei cinque postali che, stipati di studenti, partono tutte le mattine alla volta di Nuoro, più il postalino di tziu Lai, che anziché salire sull’altipiano, preferisce scendere per i crinali della strada per Marreri.

Il volo ormai è spiccato e i colombi non si fermano a Nuoro. Continuano, assettati di conoscenza, a volare verso altre mete.

Ragioni economiche e le tante tragedie che il paese ha sofferto contribuiscono a che i bianchi colombi non tornino al nido che materno li aspetta, ma piano piano rivestano le tinte fosche degli sparvieri: da Oronou tutti abbiamo preso ma non abbastanza abbiamo ridato.

Nel nuovo millennio l’immagine di Oronou, come di tutti i paesi barbaricini, è un paese chin domos bòdias e bichinados mudos. Quello che è stato è oramai nel ricordo o forse nel sogno.

Ma qualche combattente e lungimirante, come il tuo Jorgi, nella terrazza sospesa sul precipizio, affacciato sul World Wide Web, per fortuna, c’è ancora; e su questo pensiero di speranza ti voglio salutare.

Ti saluto con il vecchio augurio che i vecchi pastori di Sardegna rivolgevano ai loro amici e parenti e che tu hai portato al cospetto dell’Accademia Svedese nel memorabile giorno in cui sei salita, tu donna, tu sarda, sul più alto scranno della letteratura mondiale: Salude Grazia!

Maria Antonietta Mula

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