Come sono nate e cosa sono le costellazioni? Quali risposte l’uomo, nel corso dei millenni, ha dato agli interrogativi che l’osservazione della volta celeste gli suscitava?
Una prima risposta a questi quesiti l’ha data la dott.ssa Claudia Porcu (astronoma, docente di Fisica nei Licei, apprezzata divulgatrice scientifica e socia della LUTE), in una conferenza di approccio ai temi dell’Astronomia che troveranno una più ampia ed esaustiva trattazione nel corso di Astronomia Generale che avrà inizio il 14 febbraio.
Un breve viaggio, quello odierno, tra le costellazioni per osservarle, conoscere le interpretazioni di oggetti e fenomeni celesti e le loro radici nel mito, per valutare i progressi compiuti nel corso della Storia dagli astronomi del passato.
Fin dall’epoca dei babilonesi e degli antichi egizi, l’osservazione, lo studio e la raffigurazione del cielo notturno hanno rappresentato una sfida per l’essere umano, sospeso tra lo stupore per lo spettacolo della volta celeste, illuminata dalle stelle, e il desiderio di scoprire e comprendere i segreti del Cosmo.
Le stelle e la loro posizione nel cielo, l’alternarsi del dì e della notte hanno suscitato l’interesse dei popoli antichi che hanno sfruttato il moto regolare degli astri per misurare il tempo, orientarsi sulla superficie terrestre, nei viaggi per luoghi deserti e per mare, per stabilire i periodi di semina e di mietitura, nelle prime comunità agricole, per compiere i riti religiosi, per trarre dal movimento delle stelle buoni o cattivi presagi.
I grandi fenomeni della natura hanno generato l’idea delle prime divinità, identificate nelle stesse forze naturali alle quali altre se ne sono aggiunte ben presto: antichi eroi divinizzati, fatti e culture di popoli diversi trasfigurati in leggende e miti. Non sfuggono alla divinizzazione e alla mitizzazione gli astri: la Cosmogonia è parte integrante della concezione mitico-religiosa dell’umanità.
L’attribuzione di qualità divine all’astro che splende nel cielo è presente in molte tradizioni religiose in Mesopotamia come in Egitto (il Sole era l’occhio di Ra, il dio che rinasce ogni giorno) o in Grecia, dove Elio percorre la volta celeste col suo carro infuocato fino all’estremo Occidente, dove si tuffa nell’Oceano per riapparire il mattino seguente ad Oriente.
Le testimonianze più antiche di una “rappresentazione del cielo”, afferma la dott.ssa Porcu, risalgono al Paleolitico: una zanna di mammuth (ritrovata in Germania nel 1979) con impresso un disegno che ricorda la costellazione di Orione; dei puntini rilevati nella Grotta di Lascaux (Francia) riferiti dagli studiosi alle Pleiadi; delle coppelle presenti in una domus de jana in Sardegna che sembrano rappresentare L’Orsa maggiore
L’uso di raggruppare le stelle in costellazioni (o grandi asterismi) è antichissimo (probabilmente nacque tra i popoli della Mesopotamia), e le configurazioni che con le stelle si formarono vennero idealmente associate ad immagini di divinità, di eroi, di animali, di oggetti di uso comune, che bene o male si inquadravano nei confini delle costellazioni stesse e che davano loro il nome. Quelle attuali del cielo boreale, e della parte da noi visibile di quello australe, sono dovute essenzialmente ai Greci che hanno raccolto, catalogato e ordinato, attraverso diverse fonti, gli studi precedenti di Sumeri, Assiri, Babilonesi ed Egizi.
Da Eudosso (340 a.C.), a cui si deve la prima testimonianza di un sistema organizzato di costellazioni, ad Eratostene (II sec. a.C.), che attribuì a ciascuna costellazione una forma e un mito, si giunge a Tolomeo che, nel 150 d. C., riprese il lavoro di Ipparco proponendo un modello geocentrico di universo e descrivendo 48 costellazioni.
L’opera , tradotta in arabo nel IX sec. con il nome di Al-Magist, si diffuse in Europa solo nel XII sec. nella trascrizione latina di Almagesto.
Le storie elaborate intorno agli astri si arricchirono delle suggestioni derivate dall’epica e dai racconti mitologici: un patrimonio narrativo che ispirò l’immaginario arabo ed europeo dal Medioevo all’Età moderna.
Nel 1922 l’Unione Astronomica Internazionale mise ordine nel cielo definendo confini e numero delle costellazioni: ufficialmente 88.
Ma la suggestione del mito riecheggia nella nostra memoria e ci ricorda le vicende di Cassiopea e Andromeda, di Callisto e Perseo, di Orione che osò sfidare Artemide nella caccia e dalla dea fu trafitto; trasportato nel cielo, ancora insegue le Pleiadi, accompagnato dal suo fedele cane Sirio, la stella più brillante del nostro cielo.
Immenso
è lo stupore che ci accompagna nel guardare il cielo stellato e grande è la motivazione che ci spinge a
proseguire il nostro viaggio alla scoperta dei segreti del Cosmo guidati da
Claudia, la figlia delle stelle.
Il restauro del vecchio ospedale: segni e racconti
Il restauro del vecchio ospedale: segni e racconti
Seguendo i progetti, i filmati, i racconti del Geom. Cosimo Soddu, abbiamo rivolto uno sguardo nuovo su uno dei tanti luoghi dell’abbandono della nostra città: il vecchio ospedale.
Il Geometra Soddu, responsabile del procedimento per il progetto di recupero e restauro funzionale del San Francesco, ne ha ricostruito, attraverso brevi cenni storici, l’evoluzione costruttiva dal piccolo edificio dei primi del ‘900 alla sua dismissione all’inizio degli anni settanta.
A inizio Novecento l’Amministrazione comunale, che rappresentava la massima autorità sanitaria di Nuoro, acquistò un terreno in località “sa ‘e Marine”, nei pressi dell’allora Stazione ferroviaria, con lo scopo di costruire un piccolo ospedale per la città.
La progettazione venne affidata all’Arch. Pietro Nieddu che quantificò in Lire 35.000 la spesa per la sua realizzazione. Grazie al contributo di 40 famiglie caritatevoli, che finanziarono l’opera con lire 1.000 pro capite, furono edificati il fabbricato su via Brigata Sassari e un edificio interno, oggi demolito. Dal 1930 al 1960 , in varie fasi costruttive, si realizzarono, ampliarono, consolidarono vari corpi di collegamento nel cortile interno e nelle vie Deffenu e Demurtas.
Nei primi anni Settanta l’edificio cessò di essere un presidio sanitario a vantaggio del nuovo ospedale costruito alla periferia della città.
All’inizio del Duemila venne affidata all’Arch. Sergio Russo la stesura di un progetto di recupero architettonico e funzionale della vecchia struttura che ha comportato un notevole e specialistico intervento da parte di una molteplicità di professionisti.
Il restauro ha riguardato la risoluzione di problematiche di stabilità, la gestione degli imprevisti, come lo smaltimento dei vecchi aghi di Radio, contenuti in un sarcofago di protezione, e la conservazione delle sue caratteristiche storico-architettoniche.
Tecnici
ed artigiani sono stati impegnati, in questi ultimi anni, nella salvaguardia,
nel ripristino e, ove necessario, nella ricostruzione fedele di pavimenti,
infissi, vetrate policrome e opere in ferro battuto, con l’obiettivo di
restituire ai cittadini uno dei pochi edifici storici di pregio sopravvissuti
alla cementificazione che ha pesantemente segnato il volto della città negli
ultimi cinquant’anni.
Presentazione del libro “Carrasecare”
Il ritrovamento, nella cantina di Nicola Porcu, di una poesia sul carnevale, scritta negli anni Cinquanta da Antonio “Canzellu” Porcu, offre ad Elio Moncelsi l’occasione per approfondire il tema di una festa popolare che, nelle zone interne della Sardegna, presenta caratteristiche peculiari, e di illustrare, attraverso il disegno, le quartine di Carrasecare.
L’autore, già nella scelta tipografica di capovolgere il titolo del libro, ci ricorda il mondo rovesciato rappresentato dal carnevale. Una festa dalle radici antiche, caratterizzata, in quasi tutta Europa, dall’allegria, dalla trasgressione, dal capovolgimento dei ruoli (come nei Saturnalia), momento di liberazione dai vincoli di classe e dalle regole imposte da una società rigidamente organizzata.
Aspetti ben poco rappresentati nel carnevale barbaricino, in cui permane una connotazione tragica e in cui si ripete ogni anno il rito propiziatorio, per la nuova annata agraria, del sacrificio di una vittima che richiama il mito di Dioniso che muore e rinasce con l’alternarsi delle stagioni.
Alla divinità misterica si chiedeva il risveglio della natura dalla morte invernale per la sopravvivenza degli uomini e degli animali.
I versi di “Canzellu”, pur nella dissacrazione tipica del carnevale, risuonano nel nostro immaginario ed evocano maschere tragiche, tipi umani e ambienti del Nuorese che prendono corpo e anima nei disegni di Moncelsi e nella voce recitante di Tonino Porcu.
Mamuthones avanzano in doppia fila, con passo cadenzato, al ritmo di campanacci che risuonano su schiene mastruccate: “umbras malas chi ghettan terrore”.
Boes e Merdules “prus fracosos chin campanas” mettono in scena la lotta tra la vita e la morte, mentre sas Filonzanas “ligadas a cranuca” con il fuso in mano minacciano di recidere il filo di lana (la vita).
“Urthu fonnesu, ligau a cadena che cane arrajolau ses presu”: una vittima sacrificale, questa, condotta in catene dai “buttudos” dai quali cerca di liberarsi violentemente.
Thurpos, “fazza ‘e tittibeddu istirpe oroteddesa”, aggiogati come buoi, trascinano un aratro di legno: memoria ancestrale di riti agrari per esorcizzare la siccità e rendere fertili i campi.
Su Battileddu di Lula “puntu a surba”: il suo sangue, versato in modo cruento, servirà a fecondare la terra.
Sos Tumbarinos di Gavoi chiedono alla natura di risvegliarsi dal letargo invernale al suono ritmato di “triangulu, tumbarinu e pipijolu” .
I Bosani con alti lamenti, mostrano alla pietà degli astanti il corpo smembrato di una bambola per la quale invocano l’allattamento: “pranghende e attitande una pizzinna”.
Una galleria di personaggi ,ciascuno portatore della propria simbologia, che affascina e inquieta.
“Dae s’Anglona a sa Baronia/si brullat brusiande sos pupazzos”: è il rogo finale nel quale il fantoccio (Giolzi, Don Conte, Jubanne ‘e Martis sero) che rappresenta la vittima sacrificale, verrà bruciato.
Un rito di purificazione che pone fine all’inverno e apre alla rinascita della primavera.
Info sull'autore