Scene da un naufragio: il Titanic nelle illustrazioni
DI EMANUELA PULVIRENTI · 8 FEBBRAIO 2023
La notte era calma e scura, quel 14 aprile del 1912, e il Titanic procedeva spedito sulla sua rotta verso New York, con circa 2.224 persone a bordo. Era partito a mezzogiorno del 10 aprile da Southampton, in Inghilterra, e quello era il suo viaggio inaugurale.
Non c’era la luna e l’oceano era una tavola. Forse è per questo che le vedette si accorsero di una montagna di ghiaccio, che galleggiava proprio di fronte alla nave, quando ormai era troppo tardi per evitarla.
L’impatto, avvenuto alle 23:40, non sembrò inizialmente troppo grave. Il transatlantico aveva strisciato solo la fiancata, sul lato destro. Ma nel giro di due ore la nave iniziò a imbarcare acqua dalla prua fino a spezzarsi in due tronconi. Colò a picco alle 2:20 del mattino, il 15 aprile, inabissandosi nelle gelide acque dell’oceano Atlantico.
Animazione Artistosteles / Wikimedia Commons
La splendida nave, orgoglio della marina britannica, doveva percorrere ancora circa 2300 chilometri prima del suo arrivo a New York, previsto per la mattina del 17 aprile.
Di questa tragedia del mare e della morte di oltre 1500 persone sappiamo praticamente tutto. Ma com’è stata immaginata nella mente degli artisti?
Una delle prime raffigurazioni è dell’illustratore tedesco Willy Stöwer (1864-1931) per il quotidiano Die Gartenlaube. Il momento scelto è quello più spaventoso e cioè quando la poppa si sollevò in alto portando le eliche fuori dall’acqua. Si tratta di una delle immagini più diffuse, stampata per anni anche in versioni a colori.
Tuttavia venne realizzata partendo da informazioni abbastanza scarse e presenta diversi errori tra cui la presenza di ghiaccio tutto intorno alla nave (che invece si era lasciata l’iceberg alle spalle due ore prima) e l’emissione di fumo nero dal quarto fumaiolo, che serviva invece solo per la ventilazione.
Sul Boston Daily Globe è l’illustratore newyorkese Worden Wood (1880-1943) a occuparsi di rappresentare il naufragio. Pittore di temi marinareschi, è stato coinvolto nel 1917 nelle ricerche sul camuffamento delle navi di cui ho parlato in un precedente articolo. Qui sceglie una prospettiva vertiginosa sotto la poppa del Titanic mentre poche scialuppe si allontanano rapidamente.
Lo stesso momento è stato scelto anche da Achille Beltrame (1871-1945) per l’edizione della Domenica del Corriere di fine aprile. Stavolta si tratta di una stampa a colori con una vista molto ravvicinata sui superstiti a bordo di una scialuppa mentre la nave si inclina sempre di più e alcuni passeggeri si lanciano in acqua dalla poppa.
La sua grafica incisiva e coinvolgente, capace di riassumere in un solo fotogramma un’intera tragedia, è rimasta alla storia. Di lui scriverà Dino Buzzati: «Attraverso le immagini da lui create, i grandi e più singolari avvenimenti del mondo sono arrivati pur nelle sperdute case di campagna, in cima alle solitarie valli, nelle case umili, procurando una valanga di notizie e conoscenze a intere generazioni di italiani che altrimenti è probabile non ne avrebbero saputo nulla o quasi. Un maestro dell’arte grafica, quindi, ma anche un formidabile maestro di giornalismo».
Sul britannico The Sphere il punto di vista è spostato lungo il fianco in modo da mostrare meglio la plancia e i passeggeri rimasti a bordo. Sull’illustrazione sono state sovrapposte alcune indicazioni per comprendere la situazione ma soprattutto le frasi riportate dai testimoni, in modo da creare un’immagine “parlante” di efficacia ancora maggiore: “Il Titanic appariva enorme”, “La notte stellata era meravigliosa”, “Ogni oblò sfolgorava di luce”.
A differenza dei precedenti, l’illustratore del Petit Journal di Parigi sceglie di rappresentare il momento dell’impatto con l’iceberg (che però, come abbiamo visto, non è stato frontale).
Naturalmente nei giorni successivi ogni giornale si è prodigato a fornire schemi, sezioni, ricostruzioni e tante altre immagini di taglio tecnico per offrire ai lettori, avidi di ogni dettaglio, sempre nuovi spunti.
Poche di queste immagini però possono vantare anche un certo pregio artistico. Sono ormai lontani i tempi in cui un naufragio, come quello della fregata francese Medusa avvenuto nel 1816, riusciva a ispirare un capolavoro, come quello di Théodore Géricault.
Eppure è accaduto anche per il Titanic per mano di un celebre pittore espressionista tedesco, Max Beckmann (1884-1950). Il suo Affondamento del Titanic, dipinto nel 1912-1913, è una grandissima tela (misura 2,64 x 3,30 metri) che ha per soggetto la lotta dei naufraghi per la sopravvivenza.
Stavolta il transatlantico, ancora a galla e pieno di luce, è spostato verso l’orizzonte. Il cielo appare infuocato, il mare verdastro è tempestoso e l’iceberg è accanto alla nave. Non sono dettagli storicamente fondati ma riescono a rendere molto meglio il senso della tragedia che si sta consumando tra i flutti. Le barchette infatti sembrano fragili gusci di noce sballottati dalle acque e alcune si sono già capovolte.
La barca più grande, in primo piano, ricorda la scialuppa della copertina di Beltrame ma l’effetto è meno naturalistico: la pennellata grossa, pastosa e i colori innaturali contribuiscono a trasformare la scena in un incubo, una bolgia infernale degna di un girone dantesco.
Non è chiaro neanche se chi sta a bordo stia aiutando le persone cadute in acqua o stia cercando di allontanarle.
In primo piano, sulla sinistra, compare anche un cadavere con il ginocchio che esce dall’acqua, quasi un’eco di quello della Zattera della Medusa.
L’effetto finale però non ha nulla a che vedere con l’opera del pittore romantico francese. Qui non c’è speranza, e la lotta contro l’oceano non ha nulla di epico. A bordo di quelle scialuppe c’è solo terrore e rassegnazione.
L’entusiasmo con cui si era aperto il nuovo secolo si era scontrato con un iceberg in pieno oceano. Il mito del “vibrante fervore notturno degli arsenali” e dei “piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte“, tanto caro ai Futuristi, era naufragato assieme alle speranze riposte nel progresso e nella macchina. E così l’affondamento del Titanic divenne metafora della fine dell’ottimismo e presagio di un secolo in cui la civiltà avrebbe toccato i suoi abissi.
Ma tutto questo ve lo lascio raccontare da un altro artista. Non dei colori ma di suoni e parole.
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