Giampaolo Cadalanu (Nuoro, 13 febbraio1958) è un giornalista e scrittoreitaliano.
Dopo il liceo classico, ha studiato Giurisprudenza per poi frequentare la scuola di giornalismo della Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (Luiss) di Roma. A 30 anni si è trasferito in Germania, dove ha lavorato free-lance prima a Bonn poi a Berlino. Ha dato inizio alla sua carriera professionale scrivendo per il Corriere Della Sera da Bonn, per poi spostarsi alla redazione Esteri, nella quale è rimasto un anno. Nel 1994 ha scritto il libro “Skinheads”, un saggio sul neonazismo in Italia e in Europa. Ora vive a Roma ed è inviato per La Repubblica. Si occupa di politica estera, in particolare di paesi asiatici e africani. Fra gli altri giornali, ha collaborato con Limes, L’Espresso, Panorama, L’Europeo, Italia Oggi, L’Indipendente.
Gloire, che ha sconfitto Ebola e ora combatte il coronavirus
Nel Congo già colpito da una pandemia pochi anni fa, il ruolo dei volontari che spiegano alla popolazione le regole da seguire è fondamentale
07 maggio 2020
Quando ha visto che nella stanza della clinica c’era un’altra donna, Gloire non si è preoccupata troppo. Aveva finito la gravidanza, quel luglio 2019, non aveva ancora sentito la chiamata alla lotta. Pensava al bambino, ormai mancava poco. A volere il nome Elvis, cioè eletto da Dio, era stato il papà, come in Congo è abitudine. Invece il piccolo della vicina di letto aveva avuto un nome dalle infermiere, un nome che doveva portargli fortuna, perché la madre stava male. Volonté, l’avevano chiamato. Gliene serviva tanta, di voglia di sopravvivere, a quel soldatino minuscolo, perché di lì a qualche giorno la mamma l’avrebbe lasciato solo ad affrontare l’attacco del virus Ebola. Di ritorno nella casa di Béni, nel nord Kivu, l’angolo a nord-est della Repubblica democratica, Gloire Kavira Mbundu era raggiante. Voleva far conoscere il nuovo arrivato alla famiglia, ai vicini, alle clienti della sua piccola sartoria. A 22 anni, poteva mai pensare di dedicarsi allo scontro con un nemico invisibile e letale? Elvis era diventato il centro della sua vita. Ma la gioia doveva durare poco. Quando si sono affacciate la febbre e la nausea, nel vomito c’era il sangue: era la dichiarazione di guerra di Ebola. Nella clinica il virus era passato da un letto all’altro, e adesso si accaniva sui suoi parenti: il marito di Gloire, il piccolo Elvis, i suoceri, le sorelline. Il cognato Elie Soli è stato il primo caduto. A Béni la malattia ha ucciso 438 persone, più della metà dei contagiati.
Lei è stata ricoverata il 10 agosto. “Spesso ero incosciente. Mi ricordo solo le iniezioni, e come i medici volevano che bevessi tanto e che mangiassi”. Gloire ha una figuretta esile, non sembra un’amazzone. Ma la fibra è forte, è quella di una guerriera: meno di una settimana di lotta ed Ebola era già in ritirata. “Volevano farmi uscire già il 16. Sono stata la prima della mia famiglia a tornare a casa”.
Battuto il virus, restava da sconfiggere i pregiudizi. Gli operatori del settore lo chiamano stigma: l’atteggiamento di preconcetto ed esclusione sociale verso un individuo o un gruppo. Fra le conseguenze per le persone che ne sono oggetto: senso di colpa, perdita di autostima, solitudine e isolamento, per non parlare di possibili violenze. “Sola in casa, non avevo nessuno che mi portasse da mangiare. La gente aveva paura, i vicini mi evitavano. Nel bagno in comune, ogni doccia diventava un problema, da risolvere a forza di disinfezioni con il cloro. Il padrone di casa è arrivato a uccidere il suo cane, temendo che si fosse contagiato”. L’uomo ha cercato di sfrattare la famiglia di Gloire: per fortuna c’era un alleato, il team degli psicologi della Croce Rossa, intervenuto per difenderla.
A un certo punto, l’ombra della resa ha oscurato le sue giornate. “Ero arrivata a pensare: sarebbe stato meglio morire in ospedale. Poi mio fratello Osée è venuto a dirmi che la Croce Rossa cercava volontari, persone guarite che aiutassero a diffondere informazioni corrette sull’epidemia. Per la prima volta mi sono sentita trattare con gentilezza”. In Africa non tutti credono all’esistenza del virus Ebola, al punto che i volontari dei servizi sanitari sono stati attaccati durante le sepolture. Circolano persino voci su un presunto traffico di organi, tanto che la Croce Rossa ha introdotto sacchi per i cadaveri con finestre trasparenti, per permettere alle famiglie di controllare i corpi dei congiunti.
Così la forza più adatta contro le malattie sono i membri della comunità locale, che fanno da “garanti”. Sono veramente l’avanguardia nello scontro con l’epidemia. Qualcuno è immunizzato, ma la maggior parte è pronta a rischiare il contagio. Gloire ha battuto Ebola e oggi affronta il Covid-19 senza paura. Combatte nelle scuole, nelle chiese, portando un certificato di guarigione con la sua foto. “Così le persone capiscono che la mia storia è vera. Ora si fidano. E io devo fare la mia parte, che è di testimonianza utile anche contro il coronavirus. Posso dare informazioni senza ricominciare da capo, spiegare che cosa va fatto, il distanziamento sociale, l’igiene delle mani. Mi sento responsabile verso la mia comunità. E non voglio che nessuno passi quello che ho passato io”.
( Da: Repubblica.it )
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