“Il futuro della Moldavia, come ogni altro, è incerto”. Lo dice lo studente Victor Galusca, 26 anni e una macchina fotografica al collo da quando ha cominciato a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Chisinau, Capitale del suo Paese, “già abbandonato da quasi la metà della sua popolazione, partita in cerca di migliori condizioni di vita all’estero”. Anche Viktor stava per spostare l’ago della sua bussola verso l’ovest d’Europa: “I miei genitori, fratelli e cugini hanno tutti abbandonato la Moldavia. Sono l’unico membro della mia famiglia rimasto in patria, volevo partire anche io ma poi ho trovato le foto nascoste di Zaharia Cusnir”.
Viktor ama perdersi tra le montagne, lungo rotte remote che conducono a paesini ormai deserti, abbandonati da generazioni in fuga, che si sono lasciate dietro solo frammenti di esistenze. In una casa vuota di un villaggio fantasma, tra muffa, macerie, incuria e cocci di finestre rotte, un giorno del 2016 ha trovato un bagaglio chiuso: il simbolo della partenza, che invece per Viktor è diventato motivo per restare. Era “una valigia che nessuno da oltre vent’anni aveva aperto”, che è riuscita a custodire per decenni un intero mondo scomparso. Aprendola Viktor ha ritrovato quattromila negativi fotografici: migliaia di volti, vite, ritratti di una Spoon River sovietica, un intero villaggio ormai perduto per sempre, Rosietici, di cui non esiste più alcuna traccia se non negli scatti di un fotografo che nessuno conosceva prima di allora: Zaharia Cusnir. Ultimo di 16 figli, Zaharia è vissuto e morto a Rosietici, distretto di Soroca, in Moldavia.
Nato nel 1912 in una terra che faceva parte dell’Impero russo, crebbe nel villaggio che diventò parte della Romania, per divenire infine sovietico quando diventò adulto. Fu subito vessato dai comunisti come tutti i contadini che rifiutavano la collettivizzazione forzata. Zaharia provò a fare l’insegnante per essere licenziato dopo un anno. Si oppose ai rossi e finì in prigione. Quando lasciò la cella, scontati i tre anni di pena, iniziò a trascorrere le ore con pecore e sassi in un kolchoz, fattoria collettiva. Solo a 43 anni l’inquietudine che sembrava abitarlo si placò quando suo nipote, di ritorno dalla leva militare, gli insegnò ad usare la macchina fotografica e a trovare una vocazione nata con la sovietica Ljubitel tra le dita. Zaharia cominciò da allora a immortalare tutti gli abitanti di Rosietici durante cerimonie, matrimoni, feste, battesimi, funerali, ma da loro fu sempre considerato solo come la marca della macchina sovietica che usava: un Ljubitel, ovvero un “amatore”, un dilettante, uno “scemo del villaggio”, che battagliò tutta la vita contro l’alcolismo e, senza saperlo, contro la Storia che si sarebbe portata via non solo lui, ma l’intero paesino. Morì poco dopo la dichiarazione d’indipendenza della Moldavia nel 1993.
Gli abitanti del villaggio guardavano l’uomo che gli scattava foto in bianco e nero e ora, decenni dopo, continuano a fissare noi grazie aViktor, che dal giorno del ritrovamento, non ha smesso di scannerizzare i negativi. Lo studente guarda quelle immagini tutti i giorni e dice di aver capito perché tutti gli altri sono partiti: “Abbiamo perso le radici. Dobbiamo apprezzare ciò che abbiamo intorno. Nelle facce di quegli abitanti ho visto la dignità, assente nel presente. Ho cominciato a chiedermi: perché le persone nelle foto di Zaharia sembrano così sicure se comparate a noi? Eppure viviamo in condizioni migliori: abbiamo cibo, possibilità di viaggiare, ma qualcosa dentro di noi sta morendo. Dunque la nostra serenità non dipende dal benessere che i moldavi cercano lontano da questo Paese? Sono rimasto qui per tentare di rispondere alla domanda che mi hanno posto queste fotografie. È stata questa per me la lezione di un fotografo così grande vissuto in un villaggio così piccolo”.
Victor e Zaharia si parlano da un’epoca all’altra in un’alleanza di cellulosa e pixel. Entrambi fotografi, entrambi innamorati del loro Paese, del tempo che lo sorpassa e che hanno cercato di trattenere. Zaharia ha salvato Rosietici da un silenzio eterno e buio di cui non conosceremmo l’esistenza, Victor ha salvato mezzo secolo dopo il ljubitel. È la vendetta postuma dello “scemo del villaggio”, che molto lontano da quel paesino, ora anche il resto del mondo conosce.
Il fatto Quodidiano
Di: Michela Ag Iaccarino
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